Roma, da 11 anni una Capitale con sindaci a tempo determinato o part-time

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Mentre furoreggiano i sondaggi (anche riservati) come quello pubblicato dell’agenzia di stampa Dire commissionato alla Tecnè che vede Virginia Raggi al minimo del consenso fra i cittadini (uno su dieci dei suoi elettori del 2016 la voterebbe ancora), dilagano anche i test, più o meno fantasiosi, sui possibili candidati per le comunali  del 2021. 

Sempre la Dire dà l’ex ministro ed oggi eurodeputato Carlo Calenda al 18% dei consensi in pari posizione con un improbabile pentastellato Alessandro Di Battista, mentre è in pole position Giorgia Meloni con Fdi al 20% che potrebbe farcela con la Lega di Salvini quotata al 18%. In ogni caso il primo partito dal sondaggio risulta essere il Pd al 24%.

Numeri e sondaggi al lotto perché Giorgia ha già pubblicamente affermato che a ricandidarsi non ci pensa proprio, dopo essere uscita terza nel 2016 battuta rispettivamente dalla Raggi e Giachetti. Anzi, si dice che Salvini voglia candidare l’ex ministra  e avvocato Giulia Bongiorno anche se circola il nome dell’on. Fabio Rampelli dei Fratelli D’Italia, che ci tiene a dire: è troppo presto per fare nomi da destra.

A sinistra, ed in particolare nel Pd, mette le mani avanti l’attuale sottosegretario all’Ambiente (già assessore all’urbanistica con Veltroni e sconfitto da Giachetti alle primarie “aperte” del Pd ) Roberto Morassut che ha lanciato un suo manifesto politico per la salvezza di Roma, non si sa quanto gradito a Zingaretti.

Troppo presto, appunto, per bruciare nomi perché bisognerà vedere l’evoluzione del quadro politico nazionale e la durata del governo Conte bis. Nel frattempo la strategia di Zingaretti per un blocco strategico con il M5s, dopo il voto in Umbria sembra arenarsi anche nel Lazio dove la capo gruppo del MoVimento, Roberta Lombardi, tira i remi in barca non solo per l’opposizione interna dei dissidenti di Barillari, ma soprattutto perché Di Maio ha escluso alleanze con il Pd nelle future competizioni regionali. 

Come andrà a finire non basta nemmeno la sfera di cristallo a predirlo, resta il fatto che ormai da 11 anni Roma viene governata da sindaci a mezzo servizio o a tempo determinato. 

Vediamo un po’.

Nel 2008, a metà mandato dopo aver governato la città dal 2001, si dimette da sindaco di Roma Walter Veltroni per andare a governare il sogno infranto del Partito Democratico. Sempre nell’aprile del 2008 vince la destra con Alemanno per qualche decina di migliaia di voti su Francesco Rutelli, che invece era stato sindaco di Roma dal 1993 al 2001 quando ha lasciato lo scettro a Veltroni.

Ma nel giugno 2013 viene sconfitto dal chirurgo e senatore Ignazio Marino,  benedetto dalle primarie del Pd e fatto fuori dal suo stesso partito nell’ottobre del 2015, mentre dalla fine del 2014 parte della classe politica romana viene delegittimata dall’indagine di Pignatone sul “Mondo di Mezzo”, con tutte le note e successive vicende processuali.

A quel punto, dopo le coatte dimissioni di Marino, dal novembre 2015 al giugno 2016 subentra il commissario straordinario Paolo Tronca che porta la Capitale alle elezioni del giugno di quell’anno quando subentra la Raggi che stravince. 

In 11 anni tre sindaci e un commissario non pare il massimo della continuità della governance, semmai un continuum di convulsioni politiche. Senza considerare i numerosi rimpasti dei vari sindaci di assessori e le sostituzioni dei dirigenti delle municipalizzate che ormai si aggirano a decine e decine, salvo sorprese future di Virginia che cambia tutti con grande facilità.

Allora anche uno sprovveduto si rende conto che, da un lato della irrequietezza politica di questa metropoli dove peraltro, propio dall’ultimo sondaggio, non andrebbe nemmeno a votare il 41% dei cittadini. 

Dall’altro (fra cambi di sindaci, assessori, dirigenti che in questi 10 anni sono stati sostituiti fra un rimpasto e l’altro oppure semplicemente sbattuti fuori senza tanti complimenti ma con laute liquidazioni pagate da tutti noi), ci si rende conto che questa Capitale campa senza una governance consolidata, una “vison” come si dice oggi, non solo fra i vituperati (da Salvini e compagnia cantante di destra) radical chic, ma da chiunque abbia un po’ di buon senso. 

Anzi ricordiamo a Salvini che con Formentini la Lega ha avuto uno dei peggiori sindaci di Milano dal 1993 al 1997.

Per di più ogni sindaco che si succede butta per aria il lavoro di quello precedente, giusto per far vedere che gli altri erano peggio di lui o magari anche un po’ scemi o corrotti. Propaganda, solo propaganda se non fosse che in questa Roma non c’è più nemmeno una continuità burocratica amministrata con direzioni,  dipartimenti e uffici ripiegati su se stessi ed i propri pochi o tanti privilegi, dove i funzionari, impiegati e magari uscieri temono di venir coinvolti dal prossimo avviso di garanzia di qualche solerte Procuratore della Repubblica per il poco definito reato di “abuso d’Ufficio”.

E allora? Allora qui non è un problema di colore politico, di partiti, di fazioni, di camarille, di MoVimenti ma di strategie, idee e piani di lungo periodo. E nemmeno di legalità tà tà perché è proprio nell’inerzia e nella presupponente incompetenza politica e gestionale, che alligna la corruzione.  

Forse ha ragione l’ex assessore alle partecipate Massimo Colomban (di nobile progenie veneta e dimessosi – anche lui – nell’ottobre 2017) quando affermava che ci vorranno almeno 10 anni per rimettere in sesto questa città degradata e abbrutita dal pericoloso sfilacciamento delle sue relazioni sociali. 

Ebbene, vada per i 10 anni e anche qualcosina di più, ma con quanti sindaci ancora e di quale livello politico, manageriale, culturale degno della Capitale D’Italia? Ammesso che qualcuno di serio ci voglia mettere le mani….e la faccia.

Giuliano Longo

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